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RAPIDO RIASSUNTO DEI DUE MESI DI QUARANTENA, VERSO LA FASE 2.

 

La Fase 2 è alle porte, e io, prima di volermi tuffare nel futuro, voglio fare un ultimo passo indietro per provare a ripensare agli ultimi due mesi. Alla quarantena, che ho cercato di raccontare con i miei pensieri, prima legati all’inizio di tutto, poi agli affetti , poi alla Pasqua passata in solitudine, ed infine al mio paese Carate Brianza.

Pensieri che guardano indietro per capire se qualcosa è cambiato in noi, ma principalmente per capire se questa pandemia che ci ha costretti a casa a leggere, guardare film e speriamo anche a riflettere, ha cambiato me.

Buona lettura.

VERSO LA FASE 2

A conti fatti sono passate 8 settimane dall’ultimo barlume di vita “normale” vissuta.

Risale infatti al pomeriggio di sabato 7 marzo l’ultima volta che sono andato a fare una lunga passeggiata.
Era un bel pomeriggio di sole, quasi il giubbotto dava fastidio, anche se tirava una arietta beffarda che rendeva frizzante l’atmosfera.

Frizzante come la sensazione di insicurezza nel compiere quella “gita” al parco del paese, visto che allora ancora non era molto chiaro se fosse permessa oppure no.

Quel sabato 7 marzo che con la venuta della sera ci avrebbe tolto ogni dubbio: la Lombardia zona rossa, la fuga notturna della gente verso il Sud Italia, le restrizioni, insomma le basi per la quarantena che stiamo, a oggi, vivendo tutti dall’ 11 Marzo.

Con mia moglie, dopo aver camminato quasi due ore, con la speranza che l’obbiettivo del contapassi fosse raggiunto, ci siamo seduti su una panchina nel verde e lì siamo stati abbondantemente bene e rilassati.

” Riusciremo a fare le vacanze quest’anno? ”

” Vabbè, se chiudiamo tutto, nel giro di un mese ne usciamo ”

Intanto, poco oltre, dei ragazzi facevano la loro, chissà, ultima partita a pallone sotto i miei occhi increduli:
” Ma non l’hanno sentito che c’è il Coronavirus?”

Otto settimane, due mesi.

quarantena FASE 2

Il giorno dopo, contenti di aver festeggiato la festa delle donne, e con il DPCM arrivato nella notte, abbiamo detto arrivederci anche al calcio. Mi piace che l’ultimo ricordo legato allo sport sia il meraviglioso gol di Dybala contro l’Inter, dopo una marea di polemiche dettate dal tifo sul fatto di giocare o non giocare.

Oggi, pur essendo un grande tifoso di calcio, grido: “ma che mi importa del pallone!”. Sostengo che il campionato andrebbe sospeso e lo scudetto non assegnato. Mi pare che in questi due mesi abbiamo assistito a motivazioni più che valide per scrivere sull’albo d’oro: *non assegnato per pandemia.

Due mesi.

Due mesi in cui ci siamo abituati a una vita diversa, per lo più vissuta nelle nostre case.
Abituati alla spesa con consegna a domicilio, ai parenti visti solo e soltanto tramite la tecnologia, a essere presenti durante le lezioni scolastiche dei figli e a essere ossessionati dalla pulizia e dai disinfettanti anche solo dopo aver buttato la pattumiera fuori dal cancello.

Due mesi in cui abbiamo visto gli arcobaleni sui balconi, concerti e canti improvvisati dalle finestre, anche se poi ci siamo stancati, foto di pizzaioli e panettieri fai da te, anche se poi ci siamo stancati e messaggi di solidarietà incredibili che poi però, col passare del tempo, ci hanno stancato anche quelli.

L’immagine del Papa da solo sotto la pioggia, Mattarella spettinato da solo davanti all’altare della patria, medici e infermieri nelle nostre case attraverso la televisione come fosse cosa naturale, il bollettino delle sei e Giuseppe Conte in ogni salsa.

E ci siamo stancati anche di quello, di quella normalità a cui ci siamo abituati che in realtà non era normalità.

Come non è stata normalità la conta incessante delle persone che, chissà, quel 7 marzo c’erano e magari passeggiavano in un parco, e oggi invece, non ci sono più. Andate via con “normalità”, per noi che li abbiamo vissuti solo e soltanto come numeri che si incrementavano di giorno in giorno.

Abbiamo visto la bagarre politica, che fatta dagli addetti ai lavori, seppur abominevole, trova un senso di ragion d’esserci, ma fatta da noi, sulle nostre bacheche, resta solo la dimostrazione che la fase due non ci troverà cambiati per niente.

Saremo quello che eravamo.

Perché in fondo, a pensarci bene, non poteva che andare così.

A me piacerebbe ripartire da quella passeggiata e da quella panchina nel parco, con l’illusione di non essermene mai andato, e di essere rimasto lì per due mesi.

Probabilmente lo farò, ma lo farò con coscienza.
Con la coscienza di pensare che non sono da solo, che i miei comportamenti, almeno per il prossimo futuro, incideranno anche su chi mi sta vicino.

E se questo basta per dire che sono cambiato, allora sì, in qualche modo io sono cambiato.